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NEI MEANDRI DELLA MENTE UNA VERITA’ CHE I
COLPEVOLI NEGANO
(pubblicato su “Il Nuovo
Salernitano” giovedì 11 febbraio 2010
In
questi giorni si parla sulla stampa
di abusi sessuali maturati all’interno di mura domestiche, come di
eventi assolutamente rari; invece nella realtà della nostra società sono
purtroppo frequenti fatti del genere.
Ho avuto occasione, in seguito all’incarico
ricevuto dalla Procura della Repubblica di Salerno di eseguire una Consulenza
Tecnica d’ufficio su un presunto abuso
subito da una minore, di occuparmi di un caso di violenza sessuale
attualmente alla ribalta sulle cronache locali.
Riguardo a questo ed altri episodi simili, posso affermare, in base alla
mia esperienza, che l’abuso sessuale è
una condizione purtroppo piuttosto frequente, molto di più di quanto si possa
immaginare e che buona parte di tali misfatti avvengono proprio all’interno
delle mura domestiche e vengono perpetrati da persone con il quale il minore ha
un rapporto affettivo importante.
Non è un fenomeno legato alla nostra
società attuale, perché casi di pedofilia sono sempre esistiti, adesso sembra
che emergano maggiormente, perché l’opinione pubblica si sta sensibilizzando
sempre più sul fenomeno, comunque si fa ancora molto poco per prevenire, contrastare e debellare totalmente questa
grave forma di sorpruso commessa da una persona più forte ai danni di una più
debole.
Non bisogna limitarsi a sottolineare il
“caso” specifico, rischiando in tal modo di incriminare una comunità e caricare il soggetto abusato
di conseguenze e risvolti pratici che influenzeranno negativamente, nel corso
degli anni, la vita sociale della persona abusata, ma insieme analizzare i
fattori di rischio che generano queste realtà.
La nostra
attenzione non deve essere rivolta al “caso”, ma al fenomeno che, come già
detto, non è isolato.
Ognuno di
noi deve acquisire la coscienza che le regole di convivenza civile non sono solo un comando calato dall’alto o
imposto da un’autorità astratta e lontana, ma costituiscono delle
norme che sono state adottate nell’interesse generale per prevenire,
tutelare e salvaguardare, soprattutto, la libertà e la sicurezza personale di
ogni singolo cittadino, adulto o minore che sia, per
cui tutti noi siamo chiamati ad
adoperarci per prevenire, segnalare e far emergere eventuali casi di
maltrattamento, abusi o violenze, coscienti non solo dei nostri propri diritti,
ma anche dei doveri che
abbiamo verso tutti gli altri cittadini, che ci
accompagnano nel nostro percorso di vita sociale.
Considerando
che, al di là della eventuale pena più o
meno severa comminata a chi commette un reato del genere, la condanna non potrà mai “ripagare” dei danni,
soprattutto morali e psichici, riportati da
chi effettivamente ha subito la violenza, infatti questi (la vittima) ne resterà purtroppo profondamente segnato per tutta la
vita, soprattutto se il comportamento delittuoso è stato protratto per
molto tempo.
Non sempre
l’effetto del danno è immediato, a volte
i risvolti negativi emergono a distanza di anni e vengono mascherati sotto
varie forme di sofferenza. Come ho potuto constatare, durante i tredici anni di
Giudice Onorario al Tribunale per i minorenni di Salerno, sia nel settore
civile e penale, oltre che nel mio lavoro quotidiano di psicologa e
psicoterapeuta, in una famiglia basta una sola persona che sta male per
coinvolgere tutto il nucleo familiare; parallelamente anche nella società il
vero benessere non è rappresentato unicamente dal benessere personale, ma si può stare realmente bene solo quando
effettivamente si vive in un ambiente sano ed il benessere costituisce un bene
sociale collettivo e condiviso da tutti.
La nostra
attenzione, personale, collettiva e delle autorità preposte, deve essere rivolta alla prevenzione di
questi fatti, perché, una volta che il danno è stato compiuto, il rimedio,
purtroppo, non è sempre risolutivo e in alcuni casi ci rimane da guardare solo la cicatrice.
Far conoscere quanto sia
importante intervenire con tempestività
è indispensabile e quanto, ugualmente, sia necessario non accettare e non
tollerare comportamenti chiaramente
devianti da parte di nessuno. Un comportamento quotidiano deviante non
può essere accettato come normale, solo perché, forse, se ne vedono tanti e ci
siamo assuefatti a tale devianze.
La mia
esperienza, mi ha portato giorno per giorno ad avere maggiore consapevolezza
delle difficoltà che alcuni minori
vivono all’interno delle loro famiglie,
anche quelle considerate le “migliori”, nelle quali anzi si verificano rapporti
ancora più complessi, perché sono ritenute insospettabili dalla società, dai
conoscenti dai vicini di casa. Il pedofilo non
appartiene esclusivamente ad una certa categoria professionale o
culturale, ad un determinato ceto sociale,
questo aspetto multiforme confonde e spaventa molto l’opinione pubblica,
perché si sente il bisogno di “etichettare” il mostro; ecco perché spesso
emerge la “negazione sociale”, essa si giustifica con l’ assoluta necessità emotiva di non voler riconoscere che “quella brava
persona” o, se mai, “quel noto professionista” potesse essere un pedofilo o un
pederasta, perché il loro comportamento era ed è
sempre stato considerato irreprensibile nelle relazioni sociali
esteriori.
E’
interessante sottolineare come alcuni
minori vengano abusati oppure si possano trovare coinvolti in una
situazione di grave sudditanza psicologica, pur non avendo la
benché minima consapevolezza di quello che realmente
gli sta capitando, ignari degli effetti che “una certa azione” o “un certo comportamento” li possa portare ad affrontare processi psichici complessi, con relative conseguenze negative, che, se non debitamente esplorate ed elaborate, la
maggior parte delle volte lasciano tracce indelebili nello sviluppo e nella
formazione della loro personalità, con risvolti psicologici anche patologici.
“Rispettare
sé stessi e gli altri” non deve essere solo una frase detta come tante, ma
deve avere una risonanza importante ed valore riconosciuto, perché rispettare
realmente sia sé stessi che le altre persone significa rispettare la propria
intelligenza e il proprio corpo e quello dei nostri simili. Il corpo oggi ha
perso paradossalmente, a differenza di ciò che comunemente la pubblicità vuol far
intendere, il proprio valore e la propria identità, si cerca
di omologarlo e di annullarne il valore soggettivo, in modo che tutti si
possa essere uguali: magri, stessa taglia del seno, stesso naso, stessa bocca,
… e, perché no?, stessa testa e stessa immaginazione.
In ognuno di
noi e particolarmente dei minori, poiché essi per l’appunto si trovano nel
periodo di evoluzione e formazione del loro corpo e della loro personalità, non
va educata solo la mente, ma anche il corpo, il quale ha bisogno di essere
considerato come “unico” e non come uno
dei tanti, per cui va protetto da qualsiasi forma di aggressività; consolidare
e rafforzare alcuni automatismi, come quello di avere sempre un’ equilibrata
cura del proprio Sé e del proprio corpo, devono diventare intrinseci e naturali
per ogni persona, soprattutto nei momenti di grossa tensione e di conflitti,
solo in questo modo possiamo affermare
che stiamo contribuendo a migliorare la qualità della vita, sia propria che
altrui.
Durante il mio lavoro, purtroppo ho visto
tanta sofferenza, a volte provocata anche involontariamente da chi invece si
proponeva solo di aiutare. I bambini che hanno subito violenze, se non hanno la
possibilità di esplorare ed elaborare il trauma ed il loro vissuto doloroso,
porteranno dentro di sé per tutta la vita questa ferita, inoltre, come per un
qualsiasi trauma di qualsiasi natura
esso sia, quanto prima si effettua un intervento specialistico mirato, tanto
più si hanno maggiori possibilità di
ottenere una soluzione positiva, altrimenti si corre il rischio di lasciare
delle tracce indelebili ed irreversibili per il resto della vita. A tal
proposito, infatti, ho avuto pazienti, a volte donne in età matura, che solo
dopo un opportuno percorso psicoterapico e con grosse resistenze sono riuscite
a ricordare episodi di abusi subiti in tenera età, episodi che avevano rimosso completamente. Ciò che esse
portavano in terapia non era il ricordo
dell’abuso,
ma uno o più malesseri diffusi che si erano mascherati sotto altre forme, come
ad esempio depressione, scarsa
autostima, forma maniacale, pensiero ossessivo, ecc. Purtroppo chi subisce una
violenza non sempre riesce a farla emergere in modo chiaro e semplice. Queste
donne erano state quasi tutta la vita impegnate a mascherare ed a mandar giù nella loro parte inconscia più
profonda il proprio
“segreto”
e l’avevano custodito talmente bene che era diventato segreto anche per loro,
avendo avuto bisogno di un percorso psicoterapico per farlo riemergere, sciogliendo finalmente il legame
indissolubile che si era creato con l’abusante, perché il segreto,
purtroppo lega comunque l’uno all’altra.
Spesso chiamata a svolgere consulenze come
CTU dalla Procura ho rilevato casi di abuso o di maltrattamento e violenze
sessuali di una certa entità. Non mancano casi di false denunce, a volte capita
che chi denuncia lo fa solo per vendetta e non per amore della verità o della
giustizia, false denunce che fanno perdere
tempo agli organi preposti; altre volte i fatti vengono denunciati solo
in parte. Consideriamo che già quando il minore viene preso in carico dalle
Istituzioni lo si può ritenere in parte “fortunato”, tenendo conto invece di
tutti i casi che non vengono mai alla luce, oppure le richieste di aiuto, formulate
in vario modo, che non vengono prese nella giusta considerazione, sia perché
non sempre si ha la volontà di assumersi delle responsabilità o perché non si è
in grado di interpretare in modo giusto un messaggio di aiuto. In altri casi
addirittura può avvenire il contrario perché si ingigantiscono episodi che
esprimono richieste diverse, come per esempio il bambino che rivela un abuso
mai subito per attirare l’attenzione su di sé o perché manipolato da altre
persone.
Non è difficile capire chi ha subito un
abuso, avere tanti anni di esperienza alle spalle sicuramente aiuta molto, è
importante saper leggere ed interpretare bene i vari segnali, perché il
linguaggio del corpo non mente mai. Infatti un corpo abusato, maltrattato,
violentato, si esprime con espressioni precise.
Ricordo un episodio avvenuto pochi anni fa
al Tribunale minorile di Salerno: convocata a colloquio una minorenne per
evasione scolastica, emerse che la
stessa aveva subito una violenza sessuale da un “amico della madre”. La
ragazza era entrata in quella stanza per rispondere del motivo per cui non
frequentava più la scuola, ma il suo corpo esprimeva una grave sofferenza: in
questo caso la spia della sua profonda sofferenza si era espressa con
l’evasione scolastica. In quel tempo, lavorando presso l’U.O. Materno Infantile
NA/2 sui minori vittime d’abuso, iniziai a dubitare della mia intuizione,
pensando che stando a contatto con tanti casi di abuso, vedevo vittime
dovunque, la mia speranza era che mi stessi sbagliando, ma il flash di
abuso mi era stato subito chiaro.
Deponendo il fascicolo altrove, per far sì che la ragazza si aprisse e si
raccontasse fidandosi di me, ottenni l’effetto sperato, infatti la ragazza
piangendo mi raccontò di quanto le era capitato. Purtroppo avevo visto giusto:
era stata violentata per due anni dall’età di otto anni fino a dieci, fino al
menarca, e ciò
avveniva
quasi tutti i giorni; lei non voleva assolutamente denunciare il violentatore,
anzi, piangendo, affermava che era una cosa vecchia accaduta tre, quattro anni
prima, per cui non voleva che tutto ciò
venisse a galla, esprimendo inoltre il bisogno di proteggere la madre
che “solo adesso si sta riprendendo dalla depressione”, non tralasciando neanche di dispiacersi per
quello che sarebbe capitato all’abusante. Solo
quando
le dissi che quella persona non stava bene psicologicamente e che sicuramente
aveva già fatto e avrebbe fatto la stessa cosa con altre bambine della sua
stessa età, lei non solo mi confermò che effettivamente lui le aveva confidato
che faceva la stessa cosa anche con altre bambine, ma riuscì a capire
l’importanza di “aiutare” le altre ragazzine e di riscattare sé stessa dal
torto ricevuto. Le indagini avviate in seguito rivelarono che costui al momento
violentava la figlia della convivente. Il copione si ripeteva e continuava a
ripetersi purtroppo. In questo caso il pedofilo fu arrestato, riuscendo a
tenere fuori le minori che non furono individuate dall’opinione pubblica.
Lavorando come psicologa per il Ministero
della Giustizia presso il carcere di Vallo della Lucania, ho avuto modo
successivamente di effettuare diversi colloqui con questo detenuto.
L’atteggiamento sorprendente dei detenuti che hanno commesso tale sorta di
reati è che la maggior parte di loro nega di averli commessi. L’aspetto interessante era che lui, nel narrare di sé,
continuava a sostenere, piangendo, la propria innocenza, io lo osservavo e mi
chiedevo come fosse possibile tutto questo, “sembrava sincero”; in realtà lui
da sempre negava a sé stesso la sua grave patologia ed oramai aveva finito col
credere lui stesso nella propria innocenza.
Dr. Concetta Tenuta
Psicologa