Messaggio per la XXXI Giornata Nazionale per la Vita – 1 febbraio 2009
“La forza della vita nella sofferenza”
La vita è fatta per la serenità e la gioia. Purtroppo può
accadere, e di fatto accade, che sia segnata dalla sofferenza. Ciò può avvenire
per tante cause. Si può soffrire per una malattia che colpisce il corpo o
l’anima; per il distacco dalle persone che si amano; per la difficoltà a vivere
in pace e con gioia in relazione con gli altri e con se stessi.
La sofferenza appartiene al mistero dell’uomo e resta in parte imperscrutabile:
solo «per Cristo e in Cristo si illumina l’enigma del dolore e della morte» (GS
22).
Se la sofferenza può essere alleviata, va senz’altro alleviata. In particolare,
a chi è malato allo stadio terminale o è affetto da patologie particolarmente
dolorose, vanno applicate con umanità e sapienza tutte le cure oggi possibili.
Chi soffre, poi, non va mai lasciato solo. L’amicizia, la compagnia, l’affetto
sincero e solidale possono fare molto per rendere più sopportabile una condizione
di sofferenza. Il nostro appello si rivolge in particolare ai parenti e agli
amici dei sofferenti, a quanti si dedicano al volontariato, a chi in passato è
stato egli stesso sofferente e sa che cosa significhi avere accanto qualcuno
che fa compagnia, incoraggia e dà fiducia.
A soffrire, oggi, sono spesso molti anziani, dei quali i parenti più prossimi,
per motivi di lavoro e di distanza o perché non possono assumere l’onere di
un’assistenza continua, non sono in grado di prendersi adeguatamente cura.
Accanto a loro, con competenza e dedizione, vi sono spesso persone giunte
dall’estero. In molti casi il loro impegno è encomiabile e va oltre il semplice
dovere professionale: a loro e a tutti quanti si spendono in questo servizio,
vanno la nostra stima e il nostro apprezzamento.
Talune donne, spesso provate da un’esistenza infelice, vedono in una gravidanza
inattesa esiti di insopportabile sofferenza. Quando la risposta è l’aborto,
viene generata ulteriore sofferenza, che non solo distrugge la creatura che
custodiscono in seno, ma provoca anche in loro un trauma, destinato a lasciare
una ferita perenne. In realtà, al dolore non si risponde con altro dolore:
anche in questo caso esistono soluzioni positive e aperte alla vita, come
dimostra la lunga, generosa e lodevole esperienza promossa dall’associazionismo
cattolico.
C’è, poi, chi vorrebbe rispondere a stati permanenti di sofferenza, reali o
asseriti, reclamando forme più o meno esplicite di eutanasia. Vogliamo ribadire
con serenità, ma anche con chiarezza, che si tratta di risposte false: la vita
umana è un bene inviolabile e indisponibile, e non può mai essere legittimato e
favorito l’abbandono delle cure, come pure ovviamente l’accanimento
terapeutico, quando vengono meno ragionevoli prospettive di guarigione. La
strada da percorrere è quella della ricerca, che ci spinge a moltiplicare gli
sforzi per combattere e vincere le patologie – anche le più difficili – e a non
abbandonare mai la speranza.
La via della sofferenza si fa meno impervia se diventiamo consapevoli che è
Cristo, il solo giusto, a portare la sofferenza con noi. È un cammino
impegnativo, che si fa praticabile se è sorretto e illuminato dalla fede:
ciascuno di noi, quando è nella prova, può dire con San Paolo «sono lieto nelle
sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di
Cristo, manca nella mia carne» (Col 1,24).
Quando il peso della vita ci appare intollerabile, viene in nostro soccorso la
virtù della fortezza. È la virtù di chi non si abbandona allo sconforto:
confida negli amici; dà alla propria vita un obiettivo e lo persegue con
tenacia. È sorretta e consolidata da Gesù Cristo, sofferente sulla croce, a tu
per tu con il mistero del dolore e della morte. Il suo trionfo il terzo giorno,
nella risurrezione, ci dimostra che nessuna sofferenza, per quanto grave, può
prevalere sulla forza dell’amore e della vita.
Roma, 7
ottobre 2008
Memoria della Beata Vergine del Rosario