IL ROVETO ARDENTE
L’incontro di Mosè con il roveto ardente è una pagina
fondamentale e densa di spunti per la fede giudaico
cristiana, una sorta di trait d’union tra l’Antico ed il
Nuovo Testamento.
L’EXTRAORDINARIO
Quello che dell’episodio balza evidente alla nostra riflessione è che Dio usa dei mezzi straordinari per suscitare la curiosità di Mosè, ben sapendo che l’essere umano è sempre distratto e dà per scontato che il sole debba sorgere ogni giorno, che l’acqua che beve debba defluire sempre, che l’aria che respira debba essere sempre così, che le cose che sono state sempre saranno e non si avvede che tutto quello che circola intorno a sé, dalla più piccola goccia d’acqua alle più grandi costellazioni, tutto è un miracolo, una meraviglia, una grandissima opera.
Dunque il Signore usa degli eventi che prescindono dalla normalità per richiamare a Sé. Ricordiamo ad esempio l’episodio del cieco di Gerico. Al dubbio della gente sulla causa della cecità, Gesù rispose: “E’ così perché siano rese manifeste le opere di Dio”. E così, nella loro “extraregolarità”, anche il disabile, il cieco, il sordo, il muto, diventano indice delle opere di Dio, richiamo per l’uomo distratto a confrontarsi con gli immensi benefici da Lui ricevuti. E’ posto, inoltre, volente o nolente a confronto proprio con un suo simile, perché ciò lo muova a solidarietà, a compassione, affinchè chi ha dia a chi non ha e chi può sostenga chi non può.
Dicevamo che Dio richiama attraverso degli interventi extraordinari: l’extraordinario di Dio per richiamarci all’ordinario di Dio. Gli eventi straordinari non sono altro che un richiamo alla ordinaria elargizione dei benefici divini. A questo mirano. Guai se noi ci fermassimo a ricercare e a vivere l’extraordinario: saremmo degli stupidi, perché perderemmo il meglio, vale a dire l’ordinario, i doni, la bontà, la ricchezza, che quotidianamente riceviamo dal Signore. Ecco perché sbagliano quelli che vanno di qua e di là: ci sarà un tempo, dice l’Apocalisse, in cui popoli interi si muoveranno a seconda di come si muovono questi segni straordinari, ma non è questo il richiamo di Dio. Il richiamo di Dio, straordinario, riporta sempre all’ordinario, ad un impegno.
E un impegno nell’ordinario è un impegno nella storia, nella politica e perché no, nella prassi, nella società, a favore del prossimo. Poniamo l’esempio di San Pietro: “Mi ami tu più di costoro?”, gli chiede Gesù dopo la sua defezione. “Sì Signore Tu lo sai che Ti amo”, gli risponde Pietro. Uno si aspetterebbe chissà che cosa: “Pasci le mie pecorelle!”. Se tu mi ami, servi! Quindi comprendiamo come l’extraordinario di Dio ci spinga all’ordinario. Consideriamo ancora il profeta Elia. Elia va sul monte per incontrare Dio, ma Egli non è nel fuoco, non è nel terremoto, non è nel vento; Lo incontra finalmente in quella bellissima esperienza, che auguro a tutti, di respirare lo Spirito del Signore come un’auretta leggera, penetrante, che ti innamora, ti inebria e ti eleva. A cosa conduce l’incontro con Dio? Alla Sua richiesta di consacrare Ieu re, di consacrare Eliseo al posto di Elia, insomma al servizio. E lo fa ritornare sui passi da cui egli è fuggito, ma con una carica nuova, una carica speciale. L’extraordinario di Dio è sempre in vista di una vita ordinaria.
Ancora, pensiamo all’episodio della Trasfigurazione. Condusse con Sé Pietro, Giacomo e Giovanni, su un alto monte. Egli si trasfigurò davanti a loro. Perché lo fece? In vista della Passione. Pizzicò proprio Pietro non perché era il migliore di tutti, ma perché sapeva che in seguito lui stesso avrebbe detto: “chi Ti conosce!”, lo caricò di più perché doveva sopportare di più: “E quando ti sarai riavuto, conferma i tuoi fratelli!”.
Il Signore non chiama gli uomini a vivere da angeli. Dio chiama gli uomini a vivere da uomini, a vivere pienamente, in pienezza la loro dignità umana. Agli angeli non ha donato l’Eucarestia, è a noi che Essa è offerta; non è per gli angeli che si è incarnato, ma per noi uomini.
Certamente, saremo “come” gli angeli, non angeli di Dio, perché noi siamo uomini, siamo delle creature umane, un composto di materia e spirito, un unum, e di conseguenza noi dobbiamo vivere la nostra vita divina nella nostra stessa umanità. Gli angeli fanno “il mestiere loro”, ma “il mestiere nostro” qual è? Quello di vivere la pienezza della nostra umanità. Mosè, attirato dall’extraordinario, viene lanciato nella politica, nella socialità, in una ardimentosa azione di liberazione. Avrebbe potuto rivolgersi a Dio dicendo: “Perchè non lo fai Tu? Visto che Tu vuoi liberare il tuo popolo, perché non lo liberi Tu?”. In realtà Dio, l’Eterno, come abbiamo visto, parla tramite un angelo, la mediazione, parla agli uomini e parla per mezzo di uomini e vive nell’umanità attraverso lo spirito dei suoi comandamenti , della sua Parola: “Egli manda a noi la sua Parola”. Una Parola che è l’espressione della sua Volontà, di tutto quello che Egli vuole per noi. E questa Parola deve agire nella libertà dei figli dell’uomo, nella storia, nel tempo. Dio può prendere il tempo, il mondo, la realtà, la creazione e fare quello che vuole. Ma non può, dopo aver creato il mondo, e averlo creato nella libertà, distruggere questa libertà. E allora, entra nella storia come Uno dei tanti, entra nell’umanità come Uno di noi, ma con la pienezza e la carica di tutta la potenzialità divina: “Io sono Colui che è”, e “ quando Mi avrete elevato in croce capirete che Io sono”. Gesù Nostro Signore, incarnazione dell’Amore di Dio per noi entra nella nostra storia, nell’umanità, in mezzo a noi, dopo aver fatto l’extraordinario, morendo ordinariamente e dando a noi la motivazione di questa morte.
Dunque è l’amore che spinge Dio verso Mosè e spinge Mosè verso il suo popolo, e il suo popolo verso tutta l’umanità. E’ la stessa identica forza che, attraverso la libertà degli uomini e la libertà di Dio si esprime nella storia, nella grande famiglia dei figli dell’uomo.
Allora comprendiamo che gli interventi di Dio sono solo apparentemente extraordinari, in realtà vanno ricercati maggiormente nella ordinarietà sino al punto di identificare Iddio con ogni fratello.
“Qualunque cosa avrete fatto al più piccolo di questi miei fratelli l’avete fatto a Me”. Ed è in queste parole di Gesù che l’extraordinario si incarna nell’ordinario, è l’ossimoro, la scoperta della ordinarietà straordinaria, ripreso dallo stesso fondatore dell’Opus Dei, San Josemaria Escrivà, a detta del quale la santita’ consiste nel “vivere l’ordinario in maniera straordinaria”. In Cristo Gesù, infatti, l’ordinario viene a coincidere con il quotidiano. Vivere questa vita ordinaria in modo straordinario. Qual è il modo straordinario di vivere? E’ necessario rifarsi al Comandamento dell’Amore: “Ama il Signore Dio tuo e ama il prossimo tuo come te stesso” e, nel Nuovo Testamento, “amatevi gli uni gli altri come Io ho amato voi”. Come ci ha amati il Signore? In modo straordinario, sino a dare Se stesso per noi. Comprendiamo allora come tramite un segno extraordinario, fuori dell’ordinario, il Signore ci richiama all’ordinarietà del nostro impegno quotidiano per il bene, per la socialità, per l’amore, la fraternità, la bontà, il perdono.
L FUOCO E LA PENTECOSTE
Il segno di Dio dunque è il fuoco, il fuoco della trasmigrazione degli Ebrei, un fuoco che li illuminava di notte, e quindi il fuoco dello Spirito Santo, il fuoco pentecostale, il fuoco che il Nuovo Mosè è venuto a portare sulla terra: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, quanto vorrei che fosse già acceso!”. E’ un fuoco straordinario che investe le anime, soprattutto le anime pie. Basti pensare al profeta Geremia il quale sentiva ardere dentro di sé nelle sue ossa un fuoco che non poteva contenere, ma è quanto accade in modo particolare alle anime consacrate, alle quali il Signore, soprattutto al principio del loro cammino, fa sperimentare una sorta di “incendio d’amore”, il desidero di vivere per Dio, di appartenergli totalmente.
Il Signore stesso nella sua incomparabile “pedagogia”riconduce questo fuoco alla dimensione quotidiana, ordinaria, tant’è che l’anima a volte non avverte più la presenza sensibile del so Dio, sembra che quel fuoco si sia spento,in realtà Dio ti riconduce da quell’amore straordinario con cui si era reso presente nella tua vita alla dimensione ordinaria dove ti chiede di incarnare quell’Amore. Dio ti ha fatto sperimentare il suo Amore, in seguito sta a te ricambiarlo amando Dio ed i fratelli.
“ECCOMI!”
Ritorniamo però all’incontro di Dio con Mosè. In esso riconosciamo una particolarità di non poco conto. Dio conosce il nostro nome ( “Prima ancora che tu nascessi Io ti conoscevo”, “ti ho chiamato per nome”). La risposta di Mosè è la medesima di Samuele: “eccomi”, e della Vergine Madre: “Eccomi, sono la Serva del Signore”. Quell’ “eccomi” sta a indicare la disponibilità a fare la volontà di Dio. “Chi manderò?” “Ecco, manda Me”, dice lo stesso Verbo di Dio, Figlio eterno dell’Eterno Padre. Anche noi abbiamo risposto “eccomi”, segno di piena disponibilità all’esercizio della missione che il Signore ci ha affidato. In quell’ “eccomi” c’è l’obbedienza, c’è la adesione ad obbedire alla Parola del Signore, a mettere in atto quello che da ciascuno di noi il padre richiede.
Padre Giuseppe