“Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della Parola, così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto”. (Lc 1,1)
La Chiesa dalle origini si è sforzata di fare proprio questo: “custodire il buon deposito della fede” che gli Apostoli ci hanno trasmesso. (cfr. 2 Tm 1,14)
Le verità di fede che la Chiesa, sotto l’azione dello Spirito Santo, ci propone a credere sono frutto anche di studi di carattere esegetico e storico. Essa invita a leggere e interpretare la Sacra Scrittura con l’aiuto dello Spirito Santo tenendo presenti tre criteri fondamentali:
1. attenzione al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura;
2. lettura della Scrittura nella Tradizione viva della Chiesa; “La
Tradizione è dunque il Vangelo vivo, annunciato dagli Apostoli nella sua integrità, in base alla pienezza della loro esperienza unica e irripetibile: per opera loro la fede viene comunicata agli altri, fino a noi, fino alla fine del mondo. La Tradizione, pertanto, è la storia dello Spirito che agisce nella storia della Chiesa attraverso la mediazione degli Apostoli e dei loro successori, in fedele continuità con l’esperienza delle origini” (Benedetto XVI- udienza 3 maggio 2006);
3. rispetto dell’analogia della fede, cioè della coesione delle verità della fede tra di loro.
(cfr compendio Catechismo della Chiesa Cattolica) (Per approfondimento cfr enciclica di Pio XII “Divino Affilante Spiritu” e “Dei Verbum” del Concilio Ecumenico Vaticano II).
Quando manca il rispetto di questi tre criteri, la fede e la conseguente obbedienza alla nostra madre Chiesa, è facile incorrere nell’errore e sfociare nell’eresia. A noi cattolici il compito di accogliere, vivere, custodire e difendere la nostra fede dalla minaccia di dottrine diverse che “tendono a trarre nell’errore” (“Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore” Ef 4,14).
Spesso, gli stessi cattolici si trovano disorientati dalle tante proposte che vengono fatte, come quella di considerare la Croce, intesa come oggetto di devozione, un idolo, come affermano i Testimoni di Geova. Secondo la loro interpretazione, Gesù, non sarebbe morto sulla croce ma su un palo. Valutiamo con i fatti quanto la nostra fede accoglie con semplicità.
Nel testo greco del Nuovo Testamento lo strumento di morte su cui Gesù è stato immolato è detto “stauròs”, che in tutte le versioni delle Bibbie protestanti e cattoliche è tradotta sempre con “Croce”. Oltre a “stauròs”, lo strumento di morte è chiamato “xylon”, questo termine, però, compare solo per cinque volte, e viene tradotto ora con “albero” ora con “legno della croce”, ma mai con “palo” come affermano i Testimoni di Geova.
Dal momento che costoro non riescono a condividere il lavoro di migliaia di traduttori, affrontiamo la questione sul piano storico. La storia, sicuramente, non ci consentirà di equivocare sui termini, poiché è sua prerogativa cercare di interpretare i fatti obiettivamente: “contra facta non valet argumentum”.
Sappiamo dalla storia che la Palestina fu conquistata dai Romani intorno al 60 a.C..
Gesù fu condannato, come raccontano anche i Vangeli, quando era governatore della Giudea Ponzio Pilato sotto il regno dell’imperatore Tiberio (14-37 d.C.). I Romani politicamente mantenevano divisa la sfera religiosa da quella statale concedendo ai popoli sottomessi la libertà di culto. Questo significava che i problemi religiosi venivano decisi in maniera autonoma dai popoli sottomessi, ma la gestione della legge, anche penale, spettava a Roma.
Al tempo di Gesù, il Sinedrio di Gerusalemme poteva fare processi (cfr Mc 15,1-5) e pronunciare sentenze, ma l’esecuzione della condanna necessitava della ratifica del governatore (Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: “Che accusa portate contro quest’uomo?”. Gli risposero: “Se non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato”. Allora Pilato disse loro: “Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!”. Gli risposero i Giudei: “A noi non è consentito mettere a morte nessuno”. Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire”. Gv 18,29).
Nel caso di Gesù, quindi, egli fu giudicato dagli Ebrei, ma fu condannato dai Romani secondo la loro legge, che prevedeva, per coloro che non fossero cittadini romani, il supplizio della croce. Questo veniva solitamente preceduto da alcuni colpi di flagello (20 circa) perché la vittima non doveva morire prima della crocifissione (non così fu per Gesù a cui ne inflissero molti di più. Cfr Lc 23,20-22).
E’ evidente che quando i Testimoni di Geova parlano di “palo” non solo fraintendono il vero significato dei termini greci che ricorrono nella Scrittura, ma sembrano anche ignorare le esatte modalità del supplizio della croce. Questa forma di tortura, si svolgeva, infatti, in due tempi. Prima di tutto veniva issato, nel luogo del supplizio, (nel caso di Gesù il Golgota) un’asse orizzontale chiamata “Stipes”, verso la quale era costretto ad incamminarsi il condannato, che portava sulle spalle l’asse di legno trasversale, detta “Patibulum”. Alla fine del percorso (quello che, per Gesù fu la via Crucis), Stipes e Patibulum venivano uniti ed assumevano, insieme, la forma tradizionale della croce che tutti conosciamo. Il condannato, ovviamente non veniva privato del Patibulum ma veniva inchiodato direttamente sulla Stipes e tenuto sospeso fino alla morte, lenta e dolorosissima.
Anche dagli studi effettuati sulla Sindone “appare evidente che l’Uomo che vi fu avvolto subì molteplici lesioni imputabili a crocifissione romana del sec. I d.C. l’accurato esame dell’immagine della Sindone induce gli studiosi a ritenere che le lesioni presenti nelle regioni sopra-scapolare destra e scapolare sinistra siano state provocate da un patibulum. Le escoriazioni lasciate da questo legno hanno varia grandezza; talune fanno intravedere i colpi della flagellazione meno chiaramente di altre, perché più larghe e sfumate. Ciò sta ad indicare che sulle spalle, dopo la flagellazione, ha gravato un corpo ruvido che ha riacutizzato le ferite preesistenti e ne ha provocate altre”. (Sindone un’immagine “impossibile” di E. Marinelli).
Ebbene, anche se non riusciamo a convincere i Testimoni di Geova, noi cattolici amiamo e continueremo ad amare “ Cristo e questi Crocifisso…La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza” (1 Cor 1,18-23) .
“Cristo ha trasformato questo strumento di supplizio, di infamia e di vergogna in strumento di redenzione. La Croce è un ponte che collega la terra al cielo, la creatura al Creatore, i figli al Padre. E’ dall’alto della Croce che è scesa per “tutti noi la grazia apportatrice di salvezza” (cfr. Tt 2,11-14).
Meditando la Passione di Gesù il nostro cuore di pietra, indurito dal male, si trasforma in cuore di carne diventando capace di perdonare come ha perdonato Gesù, di amare come ha amato Gesù ossia nella pienezza, coniugando l’amore con il sacrificio.
Quando Gesù sulla Croce ha chiuso gli occhi della sua umanità perché “tutto (si) è compiuto” (Gv 19,30) li ha aperti agli increduli com’è accaduto per il centurione. Questa è la fiducia che abbiamo e la preghiera che eleviamo al Signore perché coloro che non credono, un giorno come il centurione sotto la Croce possano dire “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio” (Mc 15,39)