Sono convinto che non
possiamo fare a meno di pregare come non possiamo fare a meno di respirare o di
vivere. Esiste, infatti, una dimensione per
così dire spontanea della vita e della preghiera. Quanto alla prima, non
servono molte parole, perché non necessita di particolare dimostrazione il
fatto che il nostro esistere dipende anche da fattori biologici senza i quali
non possiamo sussistere: come potremmo vivere, ad esempio, se il cuore non
battesse o lo stomaco non presiedesse alla digestione?
Allo
stesso modo esiste, anche se spesso non ne siamo coscienti, una preghiera
spontanea che si leva incessantemente dal nostro intimo; sono “i gemiti
inesprimibili” di cui parla San Paolo, la voce della nostra anima che, per
l’appunto, geme per esprimere se stessa ed il suo struggente desiderio di Dio.
A questo punto mi viene in mente l’eresia gnostica, che tanto filo da torcere
diede al Cristianesimo delle origini. Lo gnosticismo vedeva nell’anima una
particella, una scintilla di luce intrappolata nel corpo, autentica tomba,
secondo una visione religiosa del genere, dello spirito. Sta all’uomo mettersi
sulla strada, che è poi quella indicata da Gesù, per liberare la sua luce
interiore dai ceppi e dai vincoli della carne e del peccato. Si tratta di una
concezione inaccettabile per un cristiano: il corpo, infatti, non è
assolutamente un male, perché è uscito dalle mani di un Dio creatore che, in
Cristo, si è addirittura fatto uomo, assumendo su di sé la carne pulsante di
nervi, di muscoli, di sangue.
Allora la vita e la
preghiera devono compiere un processo che non si esclude a vicenda, ma che, al
contrario, corre su strade parallele destinate, in questo caso, ad incontrarsi
nell’uomo nuovo. Vivere non può essere ridotto ad un puro fattore fisiologico.
L’uomo non è un ammasso informe di membra e viscere in movimento, come
l’embrione umano, ha ricordato il Papa recentemente, non è un incolore motore
di carne per pezzi di ricambio. Il corpo umano è animato da meccanismi che
vanno ben al di là di un processo chimico e che coinvolgono tutta una serie di
complessi fenomeni psicologici, morali e culturali ai quali diamo il nome di
“spirito”. E’ l’essenza stessa dell’uomo e continuerà ad esserlo nonostante
tanti studi scientifici che vogliono ridurre tutte le manifestazioni più nobili
della civiltà e della storia umana a reazioni neurologiche o
proteiche. Quando l’uomo prende coscienza della sua dignità nel senso che
abbiamo detto, della sua meravigliosa complessità e si accorge che un fenomeno
del genere cresce addirittura quando viene esteso su scala sempre più vasta ed
universale, allora incontra i primi gemiti del suo spirito, allora comincia a
pregare, allora si avvia sul percorso della vera saggezza. E’ questo il livello
della sapienza antica, sia di quella “naturale” a contatto con la natura, sia
di quella pagana più speculativa e filosofica. Gesù è andato oltre: ci ha fatto
leggere nei gemiti del nostro spirito l’eco lontana di Dio creatore, del suo
amore, del suo desiderio di tornare ad abitare stabilmente, con un volto ed una
voce, nel nostro cuore.
Cristo non si è
opposto ai limiti di un corpo comunque votato alla morte, a causa del peccato.
Ha sofferto, ha patito, è morto. Ha accettato fino in fondo al
sua corporeità, purificandola nel suo costante atteggiamento di obbedienza al
Padre, che ha trasformato in parole precise e libere i “gemiti” del suo
spirito. Insomma, in lui la preghiera si è fatta davvero vita, e la vita
preghiera. Non c’è
più traccia di una scissione, perché finalmente lo spirito esalato sulla croce
è libero di riaprirsi al possesso del Padre. Ed anche le parole che Gesù
pronuncia poco prima di morire (“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”)
vanno lette tenendo presente ciò che segue nel salmo da cui sono tratte, che si
conclude con un inno di ringraziamento a Dio liberatore.
Dobbiamo allora
rivedere il nostro concetto, la nostra idea di preghiera. Preghiamo davvero, a
mio avviso, quando ci disponiamo in una dimensione di accoglienza.
I primitivi hanno
accolto la natura, e vi hanno percepito l’impronta terribile di Dio;
i pagani hanno aperto – ed aprono ancora oggi
- le porte del cuore alla sapienza di
Dio, che soffia in un discorso universale di dignità, di rispetto, di
fratellanza, di pace, di amore; noi cristiani siamo invitati ad accogliere una
Persona che di quella sapienza è l’incarnazione silenziosa, che accetta i
limiti di un corpo ferito profondamente dal peccato e dalle sue conseguenze per
riportare tutto come era la principio, quando il corpo e lo spirito dei nostri
progenitori camminavano ristorati alle brezze del mattino ed al suono di una
Parola di Dio perfettamente comprensibile.
Andrea Narduzzi