L’Anno Paolino, che lo Spirito Santo ha donato alla Chiesa tra la ricorrenza dei Santi Pietro e Paolo del 2008 e quella ormai alle porte del 2009, sta volgendo al termine. Ricordo con particolare gioia e gratitudine al Signore tutte le attività di apostolato che mi hanno personalmente coinvolto durante questo anno di grazia, dall’incontro con i ragazzi di Agerola, del quale ho già parlato in questa sede, alla recentissima conferenza sull’influenza paolina in Sant’Agostino, che ho tenuto in alcune classi del mio Liceo. Sono state tutte occasioni stimolanti di crescita e di maturazione, perché quando regna la condivisione sincera, inaspettatamente le idee diventano più chiare ed il Mistero dell’amore di Dio cresce nei nostri cuori. Vorrei chiudere ora le mie riflessioni paoline in questa rubrica riflettendo brevemente sull’attualità di alcuni aspetti del messaggio di San Paolo.
Si tratta ovviamente di spunti generali che non intendono creare una priorità di contenuti nel pensiero teologico dell’Apostolo delle genti; le intuizioni di Paolo sono sempre attuali, ma ogni epoca ne sente più vicine alcune piuttosto che altre, perché la Storia, nel suo procedere, non può che far emergere le esigenze e i bisogni che l’uomo si trova via via ad affrontare. Ecco allora che un primo, grande monito viene alla nostra contemporaneità dal cuore stesso del messaggio paolino, quale spicca con toni personalissimi dalla Lettera ai Romani e dalla Lettera ai Galati: Gesù è il Salvatore.
Alla sua epoca Paolo combatteva contro gli idoli dei pagani o la giustificazione che veniva dalla Legge per far emergere due grandi illuminazioni: che la verità ha compiuto un percorso e che l’uomo è sempre tentato di salvarsi da sé. Si tratta di due aspetti del medesimo invito all’umiltà ed alla sottomissione alla volontà di Dio, che negli ultimi tempi (o, meglio, nella pienezza dei tempi) si è resa manifesta in Cristo: Gesù è l’Emmanuele, il Dio con noi, la pienezza di ogni promessa e l’unico mediatore in grado di liberare e salvare l’uomo dalla schiavitù del peccato. Non si tratta di un semplice invito a credere, come se per essere salvati bastasse imparare a memoria una formula e ripeterla a pappagallo, come si suol dire, ogni volta che siamo chiamati a rendere ragione della speranza che è in noi.
Paolo ci ammonisce su una duplice direzione: a non lasciarci tentare dal desiderio di autogiustificarci, di salvarci da noi, con le nostre forze e, dunque, a non relativizzare il messaggio e la Persona del Cristo. Relativismo ed orgoglio vanno di pari passo. E come sempre la superbia e l’orgoglio umani si portano dietro una buona dose di stupidità: perché cercare a destra e a manca la salvezza se Dio stesso ce l’ha indicata nella Persona del Figlio Suo? Perché rivolgersi al passato (o ad un ipotetico futuro, che è poi la stessa cosa) senza badare all’oggi, alla presenza reale qui ed ora della salvezza? Gesù, quando ha parlato del Regno dei cieli, non lo ha paragonato ad un mistero indecifrabile o a chissà quale cabala mistico-filosofica; ha parlato, piuttosto, di un tesoro nascosto in un campo, di una perla preziosa, di una dracma perduta in casa. In ogni caso chi trova (il contadino, il pescatore e la donna che spazza il pavimento) non deve allontanarsi da ciò che è usuale, non deve viaggiare fuori da una quotidianità che è sempre a portata di mano: Gesù, il tesoro prezioso, la perla, la moneta di valore è qui, presente, attivo ora per me, per tutti. Perché tanto sbandamento? Perché tante inutili ricerche? Perché tanti sforzi vani, nella filosofia, nell’arte, nella letteratura, per poi venire sempre a capo delle stesse conclusioni, che la vita è dolore, che l’uomo vive una tragedia infinita, che non resta che la coscienza della morte? Perché? Perché l’uomo è ferito da una superbia originaria che lo induce ad imporsi, a dare gloria a se stesso, a “farsi un nome”. E così, quando Gesù cammina nelle strade della nostra vita, non lo riconosce quasi nessuno. Ma Dio, qualcuno potrebbe obiettare, non poteva fare chiasso, non poteva sedere come un tronista in mezzo alle piazze, non poteva far sentire la sua voce, non poteva, insomma, farsi vedere potente e blasonato come un vip? A che pro? Passa il Santo, e passa la festa. Se Gesù avesse agito così, avrebbe fatto la fine della donna dell’Apocalisse che tenta di cavalcare la bestia dell’orgoglio e poi viene squartata nel deserto.
E invece Dio ha risposto alla presunzione dell’uomo con la stoltezza della Croce: è questo un altro motivo assai ricorrente in Paolo, e veramente, sempre attuale. Ai deliri di onnipotenza dell’uomo, Dio risponde con lo scandalo del dolore e della sofferenza del Figlio Suo. Davvero sulla Croce è stata crocifissa la superbia che fece peccare Adamo ed Eva. E poi, infine, vorrei riflettere insieme a voi su un altro aspetto (questa volta tremendamente attuale) del messaggio paolino. San Paolo non si stanca mai, nelle sue lettere, di richiamarci “alle cose di lassù”, perché quelle della terra sono di un momento, ed il mondo passa con tutta la sua effimera gloria. Oggi quasi più nessuno pensa alla vita eterna, alla salvezza delle anime, al lavoro silenzioso che edifica il Regno di Dio sulla terra, senza ricompense tangibili. Il consumismo sfrenato sembra aver inibito la nostra capacità di pensare all’aldilà, di impegnarci per le realtà celesti che non si vedono, ma dovrebbero essere il nostro pensiero costante, vista la brevità della vita.
Abbiamo tutto quello che ci appaga in vita: a che serve pensare ad una felicità staccata dal godimento dei beni terreni?
E così la superbia umana, con tutte le nefaste conseguenze che vediamo, torna a sguazzare alla grande tra telefonini, computer, elettrodomestici, giocattoli e sciocchezze varie. L’oggi di Gesù non è più l’invito a scoprire un Dio d’amore nelle piccole cose umili ed eterne, ma un perverso istinto al tutto e subito. Poveri giovani! Non posso far altro, come educatore, che stimolare costantemente la loro coscienza ai valori eterni che non passano e, come credente, che invocare l’intercessione di San Paolo perché gli occhi della loro anima si aprano al significato vero dell’esistenza. A partire dalla salvezza operata dall’obbedienza di Cristo, dalla centralità del Suo Sangue che ha irrorato il Mistero pasquale, perno imprescindibile ed irrinunciabile di ogni autentica rinascita, anche a costo, come Maria, di rimanere soli sotto la Croce.
Prof. Andrea Narduzzi