Letteratura all'opera

 

                                

 

                                                       Lo spirito delle

                                                        beatitudini

                                                     Il Cristianesimo, fin dalle origini, ha riconosciuto nel                   “Discorso della montagna”, pronunciato da Gesù, un autentico atto di nascita di una nuova religione, un capovolgimento di valori correnti di cui ancora stentiamo a prendere pienamente coscienza. Che si trattasse di un momento particolarmente solenne lo confermano le scelte stesse di Gesù che, come ci racconta Matteo all’inizio del cap. 5 del suo Vangelo, “vedendo le folle, salì sulla montagna e, messosi a sedere”, cominciò ad istruire i suoi discepoli. Viene in mente una situazione simile, quando Mosè, chiamato da Dio sul mnte Sinai, ricevette colà  il Decalogo, le tavole dei comandamenti alla base non solo della Torah, ma anche di tutta la posteriore riflessione teologica e morale di Israele, fino a S. Paolo. Allora, una prima considerazione da fare nasce proprio da questo voluto parallelismo: Gesù è il nuovo Mosè (ne troviamo conferma anche nella Trasfiguarazione, quando accanto al Cristo appaiono Elia e, appunto, Mosè), depositario e banditore di un messaggio nuovo, adatto alla “pienezza dei tempi” e portatore di un’ immagine “inedita” di Dio. Tanto “inedita” che tutti, proprio a partire da quei discepoli ai quali fu primariamente rivolta, non la compresero. La capiranno, infatti, solo grazie allo Spirito di Verità che riceveranno il giorno di Pentecoste, in quel Cenacolo dove la tradizione vuole che Gesù abbia celebrato l’ultima Cena e, di conseguenza, la prima Eucaristia, oltre che a fondare il nuovo sacerdozio della carità e del servizio. Dunque, cosa hanno capito gli apostoli nel giorno di Pentecoste? Ciò che fatichiamo a capire ancora oggi: e cioè che il Regno di Dio non è di questo mondo. Quando Gesù proclama beati i poveri in spirito, gli afflitti, i miti, gli affamati e gli assetati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati a causa della giustizia opera un autentico capovolgimento di valori rispetto non solo alla mentalità corrente, quella del suo tempo, ma anche rispetto all’indole stessa dell’uomo. Come ci si può ritenere beati quando siamo afflitti o perseguitati? Come si può proporre un ideale di pace non violento in mezzo alle guerre, alle oppressioni straniere, ai soprusi dei conquistatori? Pensiamo alla Palestina al tempo di Gesù: dominata dai Romani, aspettava una redenzione che fosse prima di tutto politica, perché non è logico (e neanche giusto) continuare a sopportare e a subire. Di qui il grossolano fraintendimento degli Apostoli: fino all’ultimo, fin addirittura nel giardino stesso del Getsemani, fecero di Gesù un politico, un riformatore di questo mondo in grado di far sedere Giacomo e Giovanni uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra nel suo regno. Povero Gesù! Frainteso allora e frainteso oggi, mentre tanta parte della cultura lo considera un fallito, un perdente, quando non addirittura un furbo mariuolo. Pensiamo a Marx: per lui Cristo addormenta i popoli con la sa morale da perdente, li narcotizza e li mette alla mercè degli eventi. E che dire di Nietsche? Qui sfioriamo l’offesa diretta: visto che  i poveri ed i deboli non possono prevalere in alcun modo sui forti, si inventano una morale ad hoc, fatta di ricompense future che nessuno ha mai visto e di punizioni dei “cattivi” costantemente smentite dai fatti, visto che nella vita di ogni giorno sono proprio i prepotenti ad avere la meglio. Così, conclude Nietzsche, il Cristianesimo è una truffa, e Cristo è il primo-e più pericoloso-dei truffatori. Del resto, non gli avevano già rinfacciato, ai suoi tempi, di operare miracoli a nome di Beelzebul, cioè del demonio? Povero Gesù, frainteso e strapazzato ieri e oggi! E questo perché fatichiamo ad entrare nella prospettiva e nello spirito delle beatitudini: Gesù ha incarnato un amore crocefisso, una dedizione eroica al bene e alla salvezza del prossimo, di ogni uomo. E’ un vertice di carità che rivela il volto misericordioso di Dio, che ci dice nei fatti che l’essenza dell’essenza di Dio, il Cuore del Cuore di Dio è l’amore, una volontà tutta concentrata alla difesa della liberà e della dignità dell’uomo. Ecco allora che, in questa prospettiva, siamo beati quando non rivendichiamo a tutti i costi i nostri diritti, quando accettiamo per il bene l’afflizione, quando controlliamo e dominiamo le nostre passioni, quando non smarriamo il senso della giustizia e della verità, quando facciamo prevalere la misericordia e il perdono sullo spirito di rivalsa o di vendetta, quando non strumentalizziamo l’altro ai nostri piaceri, quando continuiamo a parlare di pace e ad operarla anche se gli altri, come Pietro nel Getsemani, hanno già sfoderato la spada. Chi ce lo fa fare? Il disinteressato amore per Dio e, di conseguenza, il rinnegamento di noi per il bene del prossimo. Il “mondo” non ha capito Gesù e non capisce neppure noi. Ma possiamo sostenere, da parte nostra, di esserci pure appena incamminati sulla strada luminosissima del Regno di Gesù? La risposta alla coscienza di ognuno.

                                                                           Porf. Andrea Narduzzi