terzo tema.
La famiglia
Prima della diffusione del Cristianesimo la famiglia non è un valore molto sentito dalla società greco-romana ed ha scarsa eco in ambito letterario. L’unica eccezione, ma tutta di ambito sociale, è costituita dalla fase arcaica della storia repubblicana di Roma, quando le figure del pater familias e della matrona sono i punti di riferimento di un nucleo familiare allargato ben inserito nelle dinamiche politiche di un territorio non ancora molto esteso, e per questo destinato a subire profonde trasformazioni con il progredire delle conquiste.
La sempre più capillare diffusione di elementi greci, poi, rischia di compromettere, dopo il dissolvimento delle vecchie strutture patriarcali e matriarcali del passato, anche l’identità morale dell’uomo romano, che ha visto fin dalle origini nell’insieme delle virtù familiari (il rispetto per i genitori, la pietas, la sottomissione della donna ma, al contempo, il rispetto per il suo ruolo di madre, il rigore nell’educazione dei figli) uno dei fondamenti della propria identità, assieme al rapporto con la terra, alla religione e alla politica. Terra, religione, politica e famiglia sono i grandi riferimenti della tradizione romana, il nucleo del cosiddetto mos maiorum, e la diffusione della cultura greca fu percepito come un pericoloso attacco a questo insieme di valori. La prospettiva, tuttavia, è sempre sociale e collettiva, e solo con la diffusione del Cristianesimo, come si è detto, la riservatezza della vita privata diventa prioritaria, come è prioritario il rapporto personale con Dio e con la propria coscienza. Di qui la nascita della famiglia come la intendiamo oggi, basata su un reciproco e sentito giuramento d’amore tra i coniugi e aperta, sotto la benedizione di Dio, alla procreazione e alla cura della prole. Solo in questo modo la famiglia acquista una sua identità anche giuridica e può entrare a far parte, una volta riconosciuta la sua autonomia, della riflessione letteraria. I primi a parlare di famiglia sono appunto gli autori cristiani e sono sempre loro a concedere per la prima volta attenzione alle dinamiche dell’infanzia e al mondo dei bambini, così trascurato dalla classicità.
Sembra strano, ma dopo i primi secoli dell’era cristiana bisogna attendere il Novecento per trovare un’analoga attenzione alla famiglia ed ai suoi meccanismi relazionali ed affettivi, pur se di segno totalmente opposto. Possiamo anzi affermare che nessun secolo si sia tanto interessato alla famiglia come quello che ci siamo da poco lasciati alle spalle, e molto probabilmente la spinta in tale direzione è partita dagli stimoli di una delle personalità che ha influito di più sulla cultura e la letteratura del Novecento: Freud. Dopo di lui, una messe di intellettuali e scrittori, spesso geniali, si rivolgono al loro rapporto con i genitori o alle dinamiche della loro famiglia di origine per trovare una risposta alle loro nevrosi: Svevo, nella sua Coscienza di Zeno, riconosce nella personalità forte e disinibita del padre la causa della sua inettitudine e del suo insuccesso nella vita; Kafka, in una celebre lettera sempre al padre, accusa il genitore di averne “castrato” la virilità inducendolo al rifiuto del matrimonio; Federigo Tozzi, ancora una volta nel padre, violento e spiccio nei modi, riconosce il motivo della sua ansia di male e di morte, così drammaticamente centrale nei suoi romanzi; Pirandello arriva a vedere nella famiglia l’ipocrisia sociale per eccellenza, la prima maschera da distruggere per ritrovare una propria autentica, vera identità (basti pensare, a tal proposito, ai tentativi, comunque vani, del Mattia Pascal protagonista dell’omonimo romanzo); Saba, nelle sue poesie, non fa altro che tentare di conoscersi attraverso il rapporto con la madre, la moglie e, soprattutto, la “cara Peppa”, la balia che lo ha allattato e da cui ha ereditato lo pseudonimo ebraicizzante “saba”; quasi tutta la narrativa sudamericana contemporanea, dalla Allende della Casa degli spiriti al Marquez di Cent’anni di solitudine, è affascinata (anzi, stregata) dalla famiglia, dalle sue eredità genetiche, dai suoi intrecci morbosi e spesso perversi.
L’elenco potrebbe continuare a lungo, ma il risultato sarebbe sempre lo stesso: ne è uscita una famiglia distrutta, preda dei più oscuri meccanismi, clinica di diagnosi nevrotiche da cura psicoanalitica. Quasi tutti, infatti, ritengono normale far risalire le loro inettitudini alla vita al rapporto con i genitori, con i fratelli, con il marito, con la moglie, con i figli, insomma, con la famiglia. Da questo punto di vista l’influsso di Freud è stato deleterio e ha aperto una breccia nel cuore stesso dell’identità umana e sociale dell’uomo contemporaneo che, ormai quasi dimentico di Dio e alla faticosa ricerca di un nuovo volto, non può non vedere nella famiglia tradizionalmente intesa un vincolo, e non un requisito fondamentale ed ineludibile per la costruzione della sua personalità e del suo futuro.
Prof. Andrea Narduzzi