LA  VERA BIOGRAFIA DI UN ESSERE UMANO NON INIZIA ALLA SUA NASCITA MA  MOLTO TEMPO PRIMA!

 

 

 "Giornata della Vita", essa vuol essere un forte richiamo per l'intera società a impegnarsi nel mettere in atto una grande strategia a favore della vita, nel rispettare, difendere amare e servire  ogni vita umana.

La condizione dell'uomo all'inizio del suo vivere è contrassegnata dall'invisibilità, che non dipende solo dal nascondimento nel grembo materno, ma anche dall'assenza, nelle prime fasi del suo sviluppo, di forme esterne umane. Egli è pienamente visibile  solo agli occhi della ragione, tipicamente umani, che vedono l'essenza. Difenderlo significa renderlo visibile alla società tutta intera. Non è un banale "ammasso di cellule", è già un essere umano perfettamente organizzato, che si va sviluppando per sua intrinseca vitalità, distinta da quella di sua madre, fin dal suo concepimento (fusione del gamete maschile con quello femminile: zigote) è entrato in dialogo fisiologico e di amore con sua madre. Nelle prime settimane di vita la sua vitalità, la sua capacità di assimilazione e di crescita sono massime, i primi sessanta giorni sono i più importanti della sua vita: si compie la sua organogenesi. In definitiva zigote, embrione, bambino, giovane, adulto, anziano sono nomi diversi dell'identica realtà umana, senza tema di smentita. Il bambino non ancora nato è a tutti gli effetti un essere umano, unico, irripetibile, distinto dal padre e dalla madre, autonomo in sé ma ancora dipendente dall'ambiente e dagli altri, è "il più povero tra i poveri" perché è privo persino della visibilità ed è in pericolo di vita. Come non difenderlo! "In diversi Stati, come l'Italia, alcune leggi hanno autorizzato la soppressione diretta di innocenti: nel momento in cui una legge  priva una categoria di esseri umani della protezione che la legislazione civile deve loro accordare, lo Stato viene a negare l'uguaglianza di tutti davanti alla legge. Quando lo Stato non pone la sua forza al servizio dei diritti di ciascun cittadino, e in particolare di chi è più debole, vengono minati i fondamenti stessi di uno Stato di diritto" (Card. Ratzinger

 

La lotta per il rispetto della vita nascente è analoga a quella per la liberazione degli schiavi, per l'uguaglianza dei neri rispetto ai bianchi, degli  ebrei rispetto agli ariani, della donna rispetto all'uomo. Con questo non si negano le difficoltà in cui si dibatte la donna in molti casi ma la soppressione  di un essere umano non è il modo migliore di risolvere i suoi problemi: ciò che è un male non può produrre un bene. Se in tutta onestà diamo ascolto alla legge morale naturale iscritta nel nostro cuore ci ripugna l'idea di sopprimere una vita umana specie se indifesa e innocente ( e la vita del concepito è la più debole e la più indifesa!), ci sembra una violenza, un sopruso del più forte sul più debole.La nostra coscienza si ribella ad un tale atto, tanto più la coscienza di un medico o di qualsiasi operatore sanitario che ha una maggiore consapevolezza, attraverso le acquisizioni scientifiche, che quello che si vuol sopprimere è una vita umana in fieri! Ogni medico, secondo il nostro codice deontologico, è chiamato a  salvare la vita. Con l'iscrizione all'Albo dell'Ordine dei Medici siamo obbligati a rispettare tale codice, per cui la trasgressione ad un punto di esso ( sopprimere la vita piuttosto che salvarla),  sia pure imposta da una norma dello stato, comporta per noi medici un venir meno agli impegni assunti, un tradimento alla nostra professione, se poi oltre ad essere medici ci professiamo cristiani il tradimento è ancora più grave perché tradiamo l'amore di Dio, nostro Padre, autore della vita, in quanto l'aborto procurato è  vietato dalla Sua legge  perché è soppressione di una vita umana innocente. La parola di Cristo trova qui una risonanza particolare: "Ciò che avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avrete fatto a Me" (Mt 25, 40).

 Se siamo onesti e veritieri intellettualmente non possiamo non scorgere l'incompatibilità che sussiste tra il riconoscimento della dignità della persona umana e il disprezzo della vita e dell'amore, tra la fede nel Dio vivente e la pretesa di voler decidere arbitrariamente dell'origine e della sorte di un essere umano.

Mi sono chiesta se la donna che decide di abortire sia profondamente consapevole di ciò che si sta compiendo in lei (la nascita di un nuovo essere umano!), se sia veramente libera di scegliere (troppi condizionamenti  offuscano la sua libertà  e la spingono verso un'unica direzione: liberarsi di "quel peso insopportabile" ), se sia completamente ed esaurientemente informata sulle complicanze fisiche e psichiche della interruzione di gravidanza sia immediate che a distanza, se si fa proprio di tutto per ottenere la sua collaborazione ad accogliere la nuova vita nei famosi sette giorni che le sono dati per riflettere. Tutti restiamo sdegnati  di fronte a notizie di sevizie sui minori, restiamo inorriditi di fronte a documentari sui campi di  concentramento, ad atrocità che si commettono in guerra ma restiamo indifferenti, narcotizzati dalla cultura edonistica dominante, di fronte all'atroce dramma di un bimbo che non ancora nato subisce violenza senza poter difendersi e far udire la sua voce. L'aborto è un atto di violenza anche contro la stessa donna che abortisce, anche se consenziente, in quanto tronca violentemente l'istinto materno, propensione naturale per cui nessun animale (eccetto l'uomo) uccide il suo concepito: è un grosso trauma per ogni donna matura: sia nell'operazione stessa, sia nelle conseguenze fisiologiche sia in quelle psicologiche. Il figlio è ciò che la madre vive in modo più suo, è parte del suo stesso essere, la impegna più di qualsiasi altra cosa, al di là di ogni altra esperienza, distruggendo il figlio, la donna distrugge una parte di sé per fini e valori meno importanti e reali e quando diventa consapevole della sua maternità, per l'aborto che ha compiuto è presa da un senso di colpa che non è basato sulla concezione di peccato instillata dall'educazione religiosa ma affonda le sue radici nei più profondi sentimenti della coscienza umana e i particolare di quella materna.

Il  tormentoso senso di colpa con cui la donna è costretta a vivere si ripercuote su tutto il suo ambiente, cerca di liberarsi dal quel tormento interiore scaricando la colpa di "quell'atto" sul padre del figlio che non ha saputo assumersi le sue responsabilità,  verso gli amici che l'hanno consigliata ad abortire, verso lo stesso medico che le ha procurato l'aborto, che le ha ucciso il figlio, le sue relazioni si fanno tese, conflittuali, insopportabili. E' mancanza di pace a tutti i livelli e l'aborto è stato il principio che ha messo in moto tutto questo. Solo la logica del diritto alla vita, una cultura alla vita e all'amore responsabile possono far sbocciare una politica familiare in grado di rimuovere le difficoltà che rendono problematica una gravidanza.

Sommariamente, per completezza, sono da considerarsi interruzione di gravidanza tutte le procedure che portano a morte l’embrione, e in fase pre-annidatoria (sia gli intercettivi che impediscono l’annidamento, come spirale, minipillole di progesterone, pillola del giorno dopo, che i controgestativi, che interferiscono con il progesterone come la Ru 486) e in fase post-annidatoria ( aspirazione endouterina per via vaginale con cannule flessibili, dilatazione cervicale e  raschiamento o svuotamento con pinze ad anelli, alte dosi di prostaglandine E2, somministrazioni di farmaci che stimolano la contrazione uterina e la dilatazione cervicale). Accenniamo,infine, ad alcune tecniche abortive, non per terrorismo psicologico ma  perché sia  ben chiaro che l'aborto è un atto di violenza contro un minore, condannato innocente e indifeso ad una morte crudele, nel grembo di sua madre, diventato per lui un lager!

Nell'aborto per aspirazione, il cosiddetto metodo Karman, l'embrione viene succhiato violentemente fuori da una pompa aspirante,  molto più potente di un comune aspirapolvere, connessa con un tubicino dal bordo interno tagliente, che viene introdotto forzando il collo uterino e azionato con moto rotatorio di va e vieni per tagliare l'embrione, risucchiato con la placenta e parte della mucosa uterina . Rimane, come una mela maciullata, un ammasso di sangue, tessuti, cartilagini, tutto maciullato.

Nell'aborto per dilatazione e raschiamento il medico abortista dilata il collo dell'utero usando dilatatori di diametro crescente. Poi penetra con una pinza tagliente e opera una vivisezione del nascituro: i vari pezzi, con la placenta, vengono via via estratti. Infine con un cucchiaio apposito, la mucosa uterina viene accuratamente raschiata. Il tutto comporta talora un'abbondante emorragia.

Non meno crudele l'aborto per avvelenamento : con un  lungo ago  si aspira un po' di liquido amniotico e si inietta una soluzione salina concentrata. Il bambino assorbe il sale e rimane avvelenato. Il sale, corrosivo, brucia lo strato esterno della pelle, il bambino prova atroci dolori e lotta per circa un'ora con la morte. Se non sopravvengono complicazioni, dopo 24 ore il piccolo cadavere viene espulso.

Non meno atroce l'aborto per isterotomia. E' un vero parto cesareo, con taglio dell'utero ed estrazione del feto. Ma dopo il taglio del cordone ombelicale, lo si lascia morire o lo "si finisce" pietosamente: Il feto che spesso ha più di quattro mesi, tenta di respirare, piange. Se i polmoni sono troppo immaturi per funzionare normalmente, queste penose reazioni si arrestano presto, ma non raramente il cuore si ostina disperato a pulsare  prima di arrestarsi nella morte. In questi ultimi tipi di aborto, in vari Paesi, il corpicino viene commercializzato: vivo, come cavia per esperimenti o per trapianti; morto, come materia pregiata per saponi o cosmetici. E' una realtà orribile e amara davanti alla quale ogni minimizzazione o banalizzazione è una mistificazione ipocrita e colpevole, "urgono una grande mobilizzazione delle coscienze e un comune sforzo etico"  per coinvolgere l'intera società a porsi autenticamente a servizio della vitaLa vita  è fatta per amare e per essere amati.

Per questo motivo, diceva Madre Teresa, dobbiamo decidere risolutamente che nessuna creatura, sia bambino che bambina, debba mai essere oggetto di rifiuto e di disamore. Ogni bambino è un segno dell'amore di Dio, di un amore che deve espandersi sulla terra. Se vi capitasse di sentire che c'è qualcuno che rifiuta di avere un bambino, che è disposto ad abortire, sforzatevi di convincerlo a portarlo nella nostra Opera, perché, come Madre Teresa, diciamo, noi vogliamo questo bambino, che per noi costituisce una testimonianza dell'amore di Dio.

                                                             

            A cura di sorella Maria Laura dr.ssa D’Aprile

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